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Il cambiamento culturale viene spesso citato dai CIO come giustificazione di insuccesso delle trasformazioni aziendali. Gli approcci tradizionali al cambiamento tendono a focalizzarsi su attività ben precise finalizzate a ridisegnare l’organizzazione, i processi e le metriche.
Spesso vengono avviati con eventi solenni, studiati per creare una linea di partenza comune e, di conseguenza, l’impressione soggettiva è del tipo “tanto non posso scegliere”, creando insicurezza, frustrazione e incertezza.
Succede anche che il cambiamento culturale diventi un compito che i CIO si trovano a gestire senza avere il tempo per prepararsi.
L’IT viene spesso fagocitata dagli aspetti tecnici e di organico, ma dedica pochissimo tempo per gestire i cambiamenti culturali richiesti.
A fronte di cambiamenti, è corretto definire un piano per la realizzazione dei benefici, molti dei quali sono legati all’integrazione dei processi, del personale e dei sistemi/applicazioni, tutte attività per le quali l’IT è un abilitatore essenziale.
Anche nei processi di trasformazione, in cui il cambiamento culturale viene preso in considerazione, spesso è relegato come fattore secondario o come un aspetto da affrontare soltanto nel contesto del cambiamento organizzativo.
Considerando che la cultura è fondamento dell’architettura organizzativa, il conflitto di priorità sopra esposto, porta a prendere le decisioni fondamentali sulla base di preferenze personali o modalità che in passato hanno portato ad esiti positivi. Peggio ancora, a volte si preferisce non decidere nulla e lasciare che le cose si sistemino da sole. Questo è stato rilevato da più parti come una garanzia di insuccesso.
Una nuova modalità che si sta delineando è “L’approccio all’umanesimo digitale del cambiamento”, che privilegia l’aspetto motivazionale rispetto alla modifica dei processi e le metriche, che sono gli indicatori indiretti dei comportamenti desiderati, in definitiva significa fare qualcosa con il personale e fare qualcosa per il personale.
Uno dei fattori su cui intervenire per avere maggiori possibilità di avere successo è avere una buona user experience. In questo caso, la parola “cliente” indica il fruitore di servizi IT in quanto si ritiene che con questo termine si denoti una relazione di superiorità gerarchica dell’IT sul resto dell’azienda, mentre si deve ritenere che ogni persona debba essere considerata un cliente e, allo stesso tempo, ogni dipendente debba essere considerato responsabile dell’iterazione con il cliente; ecco l’importanza delle customer experience. Migliore è questo indicatore, migliori saranno i luoghi di lavoro per i dipendenti in quanto, se si ha rispetto all’interno dell’azienda, anche verso i clienti si avrà lo stesso comportamento.
I problemi come occasione di sviluppo anche personale
La capacità di gestire e risolvere i problemi è determinante per definire la customer experience.
Le tecniche da utilizzare per gestire i problemi, definire le aspettative dei clienti ed esprimere attivamente empatia sono talmente importanti che sarebbe opportuno insegnarle a tutto il personale.
Collaborazione e titolarità della mission
La collaborazione può influenzare moltissimo lo stile dell’iterazione tra le risorse, dalla comunicazione e dai risultati che si ottengono.
La strategia dell’azienda viene dettata dall’alto o si forma con la partecipazione di tutti i manager? L’innovazione è qualcosa che avviene in luoghi circoscritti oppure è un processo condiviso?
I leader dovrebbero sforzarsi di delegare, assegnando al team una propria parte di responsabilità nell’ambito della mission. Sostituire, dunque, la prassi dell’impartire istruzioni, con quella di fornire delle indicazioni.
Comunicazione
L’assioma “non è tanto il messaggio che conta ma è come viene comunicato”, è assolutamente vero.
Sia nelle riunioni, che nelle comunicazioni scritte e/o verbali, ci si dovrà sforzare per introdurre un approccio umanistico, indurre ad una maggiore collaborazione e continuare a lavorare sugli stili di comunicazione.
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